Archivio Temi Corteo Storico

1989: MANFREDI II LANCIA

La rievocazione di San Lazzaro ricorda la figura di Manfredi II Lancia vicario dell’ imperatore Federico II che nel 1246 giunse ad Asti per riconciliarsi con gli astesi. Il rancore di Manferdi nei confronti di Asti derivava dal fatto che suo padre Manfredi I aveva ceduto agli astesi, senza colpo ferire e contro la sua volontà, il borgo di Loreto, culla del suo casato. La restituzione di Loreto da parte degli astesi, fece sì che il nobiluomo assumesse l’ impegno di divenire cittadino di Asti “obbligandosi a fare per questa città pace e guerra esercito e cavalcata”.

1990: La crociata dei bambini

San Lazzaro ricorda l’ anno del Signore 1212 in cui molti giovani nobili e popolani astesi si unirono entusiasti ad una moltitudine di fanciulli francesi e tedeschi pieni di zelo religioso diretti in Terra Santa per liberare, dietro esortazione di Papa Innocenzo III, il Sacro Sepolcro con quella singolare, eroica spedizione detta appunto “crociata dei bambini”.

1991: Il Matrimonio tra Giovanni I Monferrato e Margherita di Savoia

Giovanni I, giovane marchese del Monferrato, scelse come sua sposa Margherita di Savoia, nata da Sibilla di Bressa, moglie di Amedeo V. Il 23 marzo 1296 venne stipulato il contratto nuziale e nel giugno successivo fu celebrato il matrimonio con ricco corteggio di nobili. Queste nozze rinsaldarono i vincoli fra il potente e libero Comune di Asti e la casa Sabauda, tant’è che per il pagamento della promessa dote, Amedeo, trovandosi in difficoltà finanziarie, ottenne in prestito la maggior parte della somma dal ghibellino astigiano Martino Guttuario.


1992: I festeggiamenti per la vittoria del Palio

Il  Borgo San Lazzaro che nel XIV e XV secolo era essenzialmente formato da popolazione rurale,  vuole ricordare uno dei tanti festeggiamenti che i contadini della zona avrebbero celebrato in occasione della vittoria del Palio. Il corteo storico ricostruisce il clima e l’ atmosfera che caratterizzavano quei festeggiamenti. Ad essi partecipavano , oltre al popolo, le famiglie nobili della città di Asti che in questo tratto di territorio avevano possedimenti.

1993: Il passaggio della cometa.

Secondo il memoriale di Guglielmo Ventura, storico astese vissuto alla fine del duecento, nel 1301 transitò nel cielo una splendida cometa. L'evento suscitò grande stupore e interesse presso gli astigiani che, sia i popolani sia i nobili, presero a salire sulle colline che chiudevano il Borgo San Lazzaro, per scrutare i movimenti della stella e trarne auspici. Per esorcizzarne i malefici, o per impetrarne i favori, si consolidò la moda di portare l'effige della cometa ricamata sulle vesti o fissata su bastoncini come vessilli.

2000: Pellegrinaggio di ringraziamento alla Collegiata di San Secondo.

San Lazzaro, vincitore del Palio 1999, rievoca altre vittorie del Palio, quando in epoca medievale la gioia dei borghigiani per il drappo finalmente conquistato, portava a feste e a cerimonie di spontaneo ringraziamento al Santo Patrono per averli prediletti. Dunque solenne Te Deum in Collegiata intonato dai borghigiani di San Lazzaro per celebrare la benevolenza del Santo nei loro confronti.

2001: Guglielmo Ventura: speziale, mercante, insigne cronista astese.

Il Borgo San Lazzaro intende, attraverso la presentazione di alcuni momenti della sua vita, rendere un doveroso tributo alla figura di Guglielmo Ventura, speziale, mercante, insigne uomo di studio dalla profonda cultura, cronista di eventi astesi. Alla sua penna è dovuta la prima documentazione relativa al Palio di Asti e per questo, a lui va la riconoscenza di tutti gli appassionati che hanno tratto da questa testimonianza sprone e incitamento a sostegno della storica corsa.

Nato ad Asti nel 1250, apparteneva alla fiorente borghesia comunale, fu investito di importanti incarichi e pubblici uffici. Uomo di indiscussa dirittura morale, fu sia insigne studioso, sia eclettico ed acuto osssrvatore dei fatti e dello spirito del suo tempo e non trascurò l'impegno e l'azione personale.

Di professione speziale, ha esercitato in Asti la sua nobile arte nella "apoteca", che era con ogni probabilità situata nello stabile dei signori Comentina, verso il lato della Piazza della "delle Erbe", poco discosto dalla Collegiata di San Secondo. Ai figli lasciò una precisa normativa e numerose indicazioni deontologiche ispirate ai principi di onestà, competenza, impegno ed etica professionale, tuttora di straordinaria validità e di notevole attualità.

La sua attività di mercante lo condusse in molte zone d'Italia, tali viaggi gli offrirono l'opportunità di presenziare a molti avvenimenti e gli consentirono di attingere conoscenze da fonti anche non scritte. Su queste basi, grazie al suo appassionato scrupolo di ricercatore e narratore egli stenderà le note che costituiranno il celebre Memoriale.

Nel Memoriale "De gentis civium astensium et plurium aliorum" -imprese dei cittadini astesi e di molti altri- esce spesso dai confini della sua città natale per riferire ed annotare con lo scrupolo del "cercatore" di verità le situazioni della realtà politica dei centri piemontesi, lombardi e liguri.

Il Memoriale, anche se incentrato sulle lotte tra Guekfi e Ghibellini, rappresentati in Asti dalle famiglie dei Solaro e dall'Hospitium De Castello, riporta altresì fatti e avvenimenti di cronaca varia: si deve proprio al Ventura la più antica notazione riferita alla corsa del Palio. Egli infatti ricostruendo gli avvenimenti del 1275 ricorda che gli astesi in quell'anno, in sego di vittoria, corsero il Palio sotto le mura della vicina e rivale città di Alba.

L'opera de Ventura, animata nella sua intensa e spontanea partecipazione personale alle vicende, costituisce, a giudizio di eminenti critici, "uno dei più bei monumenti di storia del Piemonte e del basso medioevo" e lo fa annoverare tra i più illustri cittadini astesi.

2002: Le alterne vicende della fortuna.

Ai versi tratti dal "Carmen de varietate fortunae", poema scritto intorno all metà del XV secolo da Antonio Astesano, si ispira il tema della sfilata.

La Fortuna indispensabile componente di ogni vittoria, apre il solenne corteo sotto le sembianze di una leggiadra fanciulla: stringe in pugno il Palio vinto e si appoggia alla ruota con la quale determina i corso degli eventi umani.

Il carro su cui avanza porta i colori e le insegne dei Borghi e Rioni che hanno partecipato alla corsa, tutti proni al suo cieco ed ineluttabile volere, tutti possibili futuri destinatari di un suo bacio.

Segue il carro della Fortuna il Cavaliere Vincitore in candide vesti a simboleggiare lealtà, onestà e nobili sentimenti con i quali ha partecipato alla tenzone: sfila tra la folla festante, seguito da coloro che con il loro umile ma determinante lavoro ne hanno favorito il successo.

Mentre avanza tra il popolo festante, intona canti e ballate affinché la volubile Dea sia ancora una volta propizia.

2003: Una merce preziosa nel medioevo astese: il sale.

Il sale ha sempre rappresentato per l'uomo un elemento di fondamentale importanza sia dal punto di vista alimentare -per gli usi di cucina e la conservazione degli alimenti- sia in altre attività quali farmacologia e la concia delle pelli. In epoca medievale il sale divenne oggetto di controllo fiscale da parte dell'autorità, che ne determinava le procedure di approvigionamento, il commercio e il consumo. La normativa astigiana in materia era particolarmente dettagliata: gli Statuta, pervenuti nella redazione trecentesca, stabiliscono i termini per la riscossione del tributo sul sale (gabella), l'allestimento di un magazzino dove depositarlo e venderlo, limitandone la possibilità di commercio ai soli autorizzati e fissando pene pesanti per chiunque contravvenisse (collazione XX Capp. X, XI, XII). Gli Statuta Revarum, che stabilivano i dazi sulle merci, sono ancora più dettagliati: nella sezione intitolata "Gabella et pedagum salis Civitatis Ast" si legge che in Asti e in tutte le terre dipendenti era severamete vietato commerciare e utilizzare sale su cui non fosse stata pagata la tassa predisposta; il sale poteva entrare in città soltanto attraverso Porta San Pietro e Porta San Quirico, dove specifici funzionari, i gabellieri, avrebbero incassato il pedaggio.

Giungevano così in città ingenti carichi della preziosa merce, trasportati dai luoghi di produzione su carri o anche in sacchi a spalla lungo le strade e i sentieri d'Appennino e della Langa e poi vendute all'ingrosso o al dettagkui dai ricchi mercanti che se ne erano assicurati l'appalto: un'attività in cui furono molto attivi gli Asinari.

A riprova del valore attribuito al sale, non privo di significati simbolici (salis sapientiae), ogni anno ne veniva consegnata una determinata quantità agli ordini religiosi e alla comunità monastica in segno di devozione e omaggio.

2004: Malati e medicine nel medioevo: Pietro Ispano e il tesoro dei poveri.

Asti, posta al centro della regione subalpina in una posizione geografica dominante le vie di comunicazione fra Liguria, la pianura padana e le regioni d'oltralpe, rappresentò fin dall'antichità un importante nodo stradale. Nel periodo medievale quest'importanza aumentò sia in relazione ai traffici commerciali che facevano capo all'attivo ceto mercantile cittadino, sia per il flusso dei pellegrini che giungevano in città percorrendo la Via Francigena.

L'assistenza ai viandanti era affidata alle attività assistenziali degli hospitia, operanti presso conventi e monasteri, che si prendevano cura anche dei tanti ammalati che bussavano alle porte. L'hospitium di San Lazzaro, posto a levante della città, a sinistra del Rio di Valmanera, era deputato, proprio per la sua collocazione al di fuori delle mura, alla cura e all'assistenza dei lebbrosi e degli appestati: richiamandosi a questa antica istituzione, il Borgo San Lazzaro rievoca il tema della malattia e delle cure nel Medioevo.

Allora le cure mediche erano ben diverse a seconda della classe sociale e delle disponibilità del malato. Molto ricette richiedevano sostanze provenienti dal lontano oriente, talora anche pietre preziose polverizzate e oro: la più nota di queste pozioni era la Teriaca, composta di oltre 66 erbe diverse, considerata una sorta di panacea adatta a curare ogni tipo di patologia, ma non per questo a buon mercato.

Queste terapie erano di costo elevatissimo e accessibile soltanto ai ricchi, senza che per questo si rivelassero più efficaci: i meno abbienti e i poveri, ovvero la maggioranza degli ammalati, ne erano esclusi. Per questi malati si doveva provvedere con i medicamenti a buon mercato, raccolti in numerosi ricettari che si ispiravano a Galeno ed altri medici dell'antichità.

Un apporto fondamentale in questo campo si deve a uno dei massimi medici medievali, Pietro Ispano. Salito al soglio pontificio con il nome di Giovanni XXI, è l'unico papa ad essere lodato da Dante nel Paradiso; ma è soprattutto l'autore di un trattato medico dall'enorme fortuna, Il Tesoro dei poveri - Thesaurus Pauperum - raccolta di ricette a "capite ad calcem" per i mali più diffusi. L'oper fu trascritta in più versioni e tradotta in diverse lingue fino a tutto il XVIII secolo. Gli studi di Pietro Ispano furono rivolti alla definizione della professione medica, basata sullo studio filosofico nella natura umana - la physica aristotelica - ma soprattutto sulla pratica.

Il Thesaurus Pauperum è un'opera quindi atta ad offrire una risposta pratica ed immediata a probemi di comune diffusione, molto conosciuta a quanti anche in Asti si prodigavano per alleviare le sofferenze dei malati più poveri.

2005: La santificazione della festa nel medioevo "Tabernaculum et Taberna".

Il Borgo San Lazzaro intende rievocare le numerose festività collettive nella vita medievale: se ne contavano più di 107 tutte esigenti lo svago e il riposo!

Ogni festa era strettamente osservata ed aveva come momento essenziale il rito della Santa Messa, che radunava in chiesa tutta la popolazione. Secondo autentica consuetudine, la messa più frequentata era quella dell'ora terza (circa le ore 9): per parteciparvi era necessario alzarsi di buon'ora, anche per avere il tempo di prepararsi convenientemente per quell'importantissimo momento di aggregazione e vita della comunità.

Per i più abbienti quella era un'occasione per sfogguare abiti sfarzosi ed accessori lussuosi, vezzo spesso biasimato dai predicatori.

Per i giovani un'opportunità di incontro e una possibilità, seppur minima, di intrecciare relazioni, anche sentimentali.

Era un incorciarsi continuo di sguardi scrutatori e incuriositi fra i fedele presenti -donne e uomini disposti in gruppi rigorosamente separati- mentre la liturgia si svolgeva con una serie di riti in cui era privilegiata una gestualità mercata, fortemente teatrale.

La celebrazione avveniva tutta in latino, ad eccezione dell'omelia; all'offertorio i fedeli dovevano versare l'obolo in danaro o in prodotti della terra e molte testimonianze riferiscono che il celebrante prestava grande attenzione all'entità delle offerte ricevute: se non era ritenuta soddisfacente, la funzione veniva ripresa dall'inizio, anche più volte. Se in un documento del 1345 sono riportati i nomi delle venti parrocchie esistenti al tempo -numero notevole. specialmente se rapportato ad una popolazione di 15/20.000 abitanti; una fonte posteriore lascia intendere che altrettante e più numerose fossro le osterie e taverne.

Al termine delle liturgie, finalmente, gli uomini vi si recavano gioiosamente per festeggiare, bevendo e giocando a dadi, le ore di svago e riposo, mentre le giovani donne a gruppi vivaci ed eleganti, vestite dei loro abiti migliori, passeggiavano e indugiavano sulle piazze chiaccherando.

2006: PROSSIMAMENTE!!!!

 

2007: L'arte dorata: l'alchimia

Considerata arte divina dai suoi sostenitori e arte fraudolenta e diabolica dai suoi avversari, l'alchimia è stata accolta con grande attenzione dalla cultura medievale. La sua rapida diffusione all'ombra dei conventi scatenò una reazione durissima della Chiesa: molti frati vennero inquisiti e alcuni mandati al rogo come eretici, altri dovettero oscurare i proprio interessi per sfuggire all'Inquisizione.

Non seppe resistere al fascino dell'alchimia il cavaliere astigiano dell'Ordine Gerosolimitano fra' Filippo di Revigliascoche morì i fama di santità, rinnegando totalmente i suoi interessi poco conciliabili con i voti professati, non prima di sigillare i segreti dell'alchimia nella sua "Practica operis magni". Secondo il rituale infatti i maestri iniziavano i propri discepoli, consegnando loro i propri libri come dono divino posto sotto sigillo consacrato. I discepoli giuravano "di conservare in segreto i segreti dell'arte divina".

Al messaggio scritto si affianca quello figurato dei simboli, che nasce dalla necessità di rendere l'arte dell'Alchimia incomprensivile ai profani, in quanto non si conveniva che cose nobili fossero conosciute dal volgo poiché sarebbero state disprezzate e derise e la filosofia sarebbe stata stimata pazzia.

Ricca di simboli legati al mondo animale, di enigmi e di allegorie, l'alchimia diventa una vera e propria scienza in cui si congiungono e si sovrappongono aspetti chimici, atti alla trasmutazione di metalli vili in oro, e aspetti filosofici e mistici, che celano un processo di purificazione spirituale dell'uomo. L'alchimista medioevale, aggiungeva ai quattro elementi Aria, Acqua, Fuoco e Terra un quello elemento etereo, la Quintessenza, dalla quale ricavare la Pietra Filosofale descritta dalla leggenda come una polvere giallina, rossa o grigiastra, capace di far assumere la natura aurea al corpo vile con cui entrava in contatto. Alla Pietra Filosofale si attribuiva anche il potere di agire come "elisir di lunga vita", capace di guarire ogni malattia, di preservare la salute e di rendere agli anziani il vigore dei giovani.

Il Borgo San Lazzaro intende rievocare il laboratorio e oratorio dell'alchimista medievale con forni, mantici, tenaglie, bocce, alambicchi e apparecchi distillatori utilizzati per compiere la Grande Opera, cioè l'insieme delle operazioni necessarie alla trasmutazione. Il fuoco alchemico doveva essere di giusta qualità, in modo fa poter cedere calore dolce e continuo all'Uovo Filosofale, un essere recipiente a forma di uovo contenente il corpo da cui estrarre la prima materia e immagine simbolica che racchiude in sé il mistero del germe della vita.

2008: Dell'eclissi di sole.

Il cronista astese Guglielmo Ventura scrive nel capitolo III del suo Memoriale: "Nell'anno 1261, durante il mese di gennaio, fu predetto da Frate Lanfranco, esperto uomo di scienza dell'ordine dei Predicatori, che alla vigilia della successiva festa dell'Ascensione, verso l'ora nona, una parte del sole sarebbe diventata oscura in tutto il mondo. Proprio in quel giorno vidi sulla piazza dei Guttuari parecchi uomini riuniti, in attesa se questo portento si manifestasse; su uno specchio posto in un bacile di ottone pieno d'acqua, apparve in ombra circa metà del sole".

Quanto il cronista descrive come sorprendente frutto di una predizione era probabilmente il risultato della diffusione di trattati greci e arabi, che dopo l'anno mille portarono in occidente un corpus nuovo di letteratura scientifica riconducibile ad Aristotele "maestro di color che sanno", compatibile con le scritture e la teologia cristiana.

Al tempo del Ventura i docenti delle scuole ecclesiastiche e delle università provenivano in gran parte degli ordini religiosi francescano e domenicano: e proprio a quest'ultimo apparteneva frate Lanfranco.

essi custodivano la cultura che trovava il suo nucleo scientifivco in quadrivium, comprendente l'aritmetica, la musica, la geometria e l'astronomia, cioè lo studio delle grandezze in movimento.

Esisteva una correlazione tra astronomia e astrologia: per comprendere le influenze dei corpi celesti sulle fortune umane era necessaria la conoscenza dell'astronomia e dell'osservazione dei fenomeni celesti attraverso l'uso di strumenti in cui trovava applicazione il calcolo trigonometrico.

Grazie alla conoscenza del Ciclo di Saros e del Ciclo di Metone era possibile prevedere il manifestarsi di eclissi di sole e di luna che venivano interpretati come fonti di presagi. Il Borgo San Lazzaro rievoca l'eclissi di sole del 1261 e immagina le diverse reazioni che suscitò: la dotta curiosità dei "Maestri di Chiesa e Scuola" per i quali è oggetto di studio, lo stupore curioso dei nobili per un fenomeno portentoso, il timore reverenziale del popolo non istruito, che vede nell'oscurarsi del sole un segno della collera divina e un presagio di eventi funesti da allontanare mediante forme rituali.

2009: Pro colatione facta in Pallatio magnifici Domini Potestatis.

Nel medioevo le feste di San Giovanni e di Santo Stefano erano ricorrenze importandi e ad Asti, almeno dall'inoltrato XIII secolo, prevedevano anche il rinnovo del Consiglio di Credenza e di quello dei Dodici con l'avvicendamento dei Consiglieri. Tali eventi non erano semplici formalità burocratiche, ma prevedevano una festosa cerimonia pubblica seguita da un costoso rinfresco a spese del Comune.

Il rinfresco era particolarmente affollato, infatti il solo Consiglio era composto da 180 membri, ai quali andavano aggiunti i numerosi addetti agli "Officia" comunali, podestarili e ducali - piace pensare con relative signore - per non meno di 500 invitati.

Nel volume dei conti della tesoreria ducale del 1498 è attestato che in quell'anno il Governo rimborsò a Gandolfo Bichi e a Bernardo Forno di Asti la somma complessiva di 32 fiorni spesa "...fatta pro colatione facta in magnifici Domini Potestatis" nei giorni di Santo Stefano e di San Giovanni, "la cui festa è celebrata secondo antica consuetudine da molto tempo praticata". Nel dettaglio, risultano acquistate 20 libbre (circa 7 Kg) di "Dragea" (frutta secca candita in froma di confetti), 20 libbre di "Pignoccate" (pasticcini a base di pinoli) e 1000 "obiate" cioè le cialde ancora oggi conosciute col nome di Canestrelli. Il tutto veniva accompagnato da due "stare" (100 litri circa) di vino Moscato, due "stare" di Stellaria, prezioso vino bianco aromatizzato, e sei pinte di Ippocrasso, vino speziato con funzioni digestive.

Il Borgo San Lazzaro intende rievocare il festoso rinfresco pubblico, incorniciato da una "carrata di frasche ed una somata di fascine" e sottolineare il ruolo centrale del cibo visto come simbolo di potere, momento di aggregazione festa, riportando ala luce antiche ricette medievali.

 2010: Le "regina delle misure": la bassa danza.

"Il Bel danzar che con virtù s'acquista per dar piacer all'anima gentile conforta il cuore e fal più signorile e porge con dolcezza allegra vista".

Il fascino esercitato dagli stili di vita dei nobili, con i quali i mercanti-banchieri astigiani dal XIII secolo furono in stretto rapporto in tutta Europa, portarono nei secoli successivi alla fioritura in Asti di un ceto aristocratico che fece proprio il modo di vivere delle corti, ispirandosi agli stessi modelli culturali. Mentre in precedenza il prestigio il prestigio coincideva con il potere militare e il possesso fondiario, in seguito diventò importante presso le ricche famiglie dell'aristocrazia mercantile astigiana dimostrare pubblicamente il proprio splendore.

In particolare le feste diventarono sempre più sfarzise e fatasioso, includendo rappresentazioni nelle quali i protagonisti erano gli aristocratici che danzavano per piacere personale e per dovere sociale. Le danze, camminate o strisciate, erano semplici, basate su passi ritmici e figure ripetute in gruppo o in coppie, molto diverse dalle danze vivaci e saltate con accento pantomimico proprie dei contadini e del popolo.

Nel corso del XV secolo, in seguito alla codificazione di tutte le arti, è attestato anche il maestro e teorico della danza al servizio dei nobili. Ladocumentazione sul ballo si arricchisce grazie alla comparsa dei primi trattati; sono pervenute anche coreografie, strutturate sulla musica con una vera e propia "intavolatura" di passi. In particolare, hanno grande rilevanza storica i manoscritti a noi pervenuti di tre maestri del tempo: Domenico da Piacenza, Antonio Cornazano e Guglielmo Ebreo che hanno lasciato nei loro testi la descrizione delle coreografie suddivise in basse danze e balli. Se al cavaliere la danza offre l'occasione di mostrare il suo vigore, alla dama permette di mostrare la soavità e la dolcezza degli atti, mediante un atteggiamento "humile et mansueto" come la stessa natura prescrive: in tal modo potà essere da tutti lodata e apprezzata.

Il Borgo San Lazzaro intende rievocare la "Bassa danza" delle famiglie dell'aristocrazia astese, detta dai trattatisti dell'epoca la "regina delle misure" caratterizzata da movimenti lenti, gentili, ricchi di grazia che rispettano i tre elementi fondamentali "tempo, misura et maniera".

2011: Il corpo femminile tra idea di bellezza ed igiene. Cosmetici, balsami e profumi ad Asti nel Medioevo.

“Belle, splendide erano le loro mogli, di bisso e porpora i loro vestiti e le loro teste coperte di preziosissimi gioielli …”. Così Guglielmo Ventura si inchina ammirato davanti ai segni della bellezza cortese e raffinata delle dame dei Guttuari. Ma quale era il loro aspetto? Il corpo è grande e snello, bianco e morbido. I capelli sono biondi con fronte spaziosa e priva di impurità. Il viso candido, roseo e splendente. Gli occhi lucenti, alteri e miti. La bocca è piccola, dolce e amorosa e i denti bianchi e serrati. La gola e le mani bianche, lisce e morbide. Il seno è fiorente.

Questo l’ideale di bellezza femminile che emerge dalla lettura del Petrarca, del Sacchetti e di altri poeti minori del Trecento. E’ probabile che anche le dame astigiane rincorressero questo ideale di bellezza, utilizzando preparati oleosi, balsami e unguenti grazie a ricette tramandate oralmente o attraverso ‘i segreti’, raccolte scritte in stile semplice e talvolta rozzo. Le dame si avvalevano dell’aiuto degli speziali, che nelle loro botteghe preparavano unguenti per sbiancare la pelle con noci, garofano, perle bianche e noce moscata; per imbiondire i capelli usavano zafferano, saponi, semi di lino e camomilla, per distillati profumati gigli, lavanda, rose e fiori d’arancio. Queste e altre materie prime usate per la cosmesi, come argento vivo, allume di rocca, vetriolo, biacca, carpobalsamo, canfora, zenzero, gomma arabica, salgemma, spigo e tuzia vengono elencate negli “Statuta Revarum Civitatis Ast” tra le merci soggette a tassazione commerciate sul territorio di Asti, insieme a spugne, tela da asciugamani e vetro per specchi.

Il Borgo San Lazzaro intende rievocare il commercio e l’uso di cosmetici, balsami e profumi delle donne astigiane in un’epoca in cui la bellezza era sinonimo di ricchezza: dalla bottega dello speziale, dove le nobili clienti contrattano l’acquisto dei rimedi ed i ricchi mercanti portano le esclusive materie prime, alla stanza privata in cui la dama si dedica alla cura di viso, corpo e capelli, aiutata dalla servitù per schiarire l’incarnato, decolorare i capelli o porre rimedio alle lentiggini. Chiudono il corteo dame con fiori profumati, incenso ed essenze ed i nobili astigiani che manifestano la loro opulenza con la bellezza delle loro donne.

2012: "Elogio dell’aglio: da “Teriaca dei villani” a ingrediente fondamentale del “Sapor Rusticorum” antenato medioevale della “Bagna càoda” astigiana.".

Nel Medioevo l’aglio era considerato un ortaggio dalle virtù stimolanti, digestive ed antisettiche, che lo rendevano utilizzabile non tanto e non solo come pianta alimentare ma anche come medicamento.

Il Guainerio, medico chierese del XV secolo, lo definivala “Teriacadei Villani”, cioè il sostituto povero di quel medicamento galenico che per tutto il Medioevo fu considerato rimedio miracoloso contro ogni malattia. L’aglio era anche considerato “pianta della virilità” ed era impiegato in talune pratiche superstiziose quale antidoto contro ogni sorta di maleficio e stregoneria. Questo prezioso ortaggio era però soprattutto apprezzato nell’alimentazione e compariva tanto sulle tavole dei ricchi quanto su quelle dei poveri, in queste ultime con maggior frequenza rispetto a tutti gli altri prodotti dell’orto. Così lo si trova spesso menzionato sia nei rendiconti dei castellani sabaudi sia nelle ricette della cucina povera, dove sostituiva probabilmente le spezie troppo pregiate e costose.

Per questa sua versatilità alcuni statuti piemontesi del secolo XIV esplicitamente imponevano ad ogni contadino di porre a dimora annualmente nell’orto una certa quantità di pianticelle di aglio: si legge infatti la disposizione che “per totum mensem marcii” gli ortolani piantino almeno tre “cobias alei, et plures, si placuerit”.

 

L’aglio, confezionato in catene, era dunque componente base della cucina pedemontana, che risentiva sotto questo aspetto dell’influenza della vicina cucina provenzale. Tra le ricette di salse che lo contengono e che venivano utilizzate per insaporire carni, intingere pani o verdure particolarmente diffuse sono l’”Anchouiado” con acciughe sotto sale e olio, il “Sapor Rusticorum”, una salsa densa e cremosa aromatizzata dalla forte presenza dell’aglio cotto, e la semplice “Alliata”.

Si può pertanto ipotizzare che Asti sia stata centro di irradiamento della combinazione di ingredienti in cui identificare gli antenati della salsa calda piemontese per eccellenza, detta poi “Bagna Càoda”: oltre l’aglio di cui si è detto, il commercio di acciughe sotto sale è attestato dagli “Statuta Revarum Civitatis Ast”, che stabiliscono il pedaggio imposto per ciascun barile, mentre l’olio d’oliva veniva prodotto localmente e parzialmente importato.

2013: Le “masche” nel medioevo astigiano: fattucchiere e fate.

Masca è un termine piemontese molto diffuso nell’Astigiano derivato dal longobardo “maska”, che indicava l’anima di un morto, era prevalentemente utilizzato per indicare streghe e fattucchiere. Con questa valenza è già utilizzato nell’editto di Rotari nell’anno 643 e nel XII secolo da Gervasio da Tilbury.

Nella tradizione medioevale piemontese le Masche erano donne apparentemente normali, ma dotate di facoltà sovrannaturali tramandate da madre in figlia. Avevano il potere della trasformazione in animali considerati negativi come gatti (perseguitati insieme alle padrone), capre, pecore e bisce. Venivano incolpate di eventi naturali infausti come le grandinate (masche tempestarie) e disgrazie, quali sparizioni di bambini e malattie. Numerose le leggende sui metodi dell’ammascamento degli uomini, sedotti dalle grazie di queste donne che potevano cambiare aspetto. Nella nostra tradizione frequentavano la chiesa e ricevevano i sacramenti come tutte le altre donne della comunità, ma poi durante la notte compivano magie e sortilegi grazie a formule e incantesimi contenuti nel Libro del Comando.Di indole raramente malvagia, ma sempre capricciosa, dispettosa e vendicativa, le Masche potevano anche operare il bene come guaritrici e protettrici.

Queste “Masche buone” nell’iconografia tradizionale appaiono molto simili alle fate: di sovraumana bellezza, vestono lunghi abiti variopinti e venivano identificate con gli animalitradizionalmente docili (colombe, farfalle, cervi). Erano invocate per la protezione e la guarigione di bambini, uomini ed animali. Amate o temute da nobili e popolani, venivano contrastate con pozioni alla malva, tenute a distanza dai filati delle vergini e da amuleti religiosi e profani come croci, sacchetti di sale e ferri di cavallo arroventati oppure propiziate con rami fioriti.

Mentre questo aspetto solare delle Masche, pur tramandato dalla tradizione, non è attestato nelle fonti astigiane, il timore per il lato oscuro del sovrannaturale è documentato dagli Statuti: il Codice Catenato al Cap. capitolo CVII (“Exterminandam de civitatis Astensis posse et districtu diabolicam affatturariorum et affatturariarum operationem et doctrinam”) condanna fattucchiere, streghe e maghi, che, scoperti, erano puniti con la tortura e il rogo.

Il Borgo San Lazzaro intende rievocare queste figure che rappresentavano il lato magico e fiabesco della donna medioevale e i numerosi rimedi che la popolazione utilizzava per esorcizzarle o evocarle.

2014: ARTI LIBERALI E SCIENZE SACRE: BASE DELLA FORMAZIONE SCOLASTICA MEDIOEVALE E CHIAVE DEL SAPERE DIVINO

Il grande sviluppo economico di Asti nel medioevo legittima la deduzione di una vita culturale precoce e vivida almeno quanto quella economica. I tanti ordini religiosi presenti in città possedevano proprie biblioteche ed erano disposti anche ad indebitarsi per arricchirle, come comprova il documento CCIII della raccolta delle Carte dell’Archivio Capitolare di Asti datato al 1205, nel quale un presbiter rector chiede ad un altro sacerdote 20 soldi astesi in prestito per comprare libros eiusdem ecclesie. Una schola vescovile era con ogni probabilità attiva presso i chiostri della cattedrale e certamente non mancarono in città le scuole parrocchiali e quelle attivate dagli Ordini Religiosi. Non si può d’altro canto presumere che il grande sviluppo commerciale della città sia avvenuto senza che fossero presenti istituzioni in grado di fornire ai giovani avviati per tradizione famigliare alla mercatura l’adeguata preparazione tecnica. Queste ipotesi trovano conferma nell’opera di un Astensis poeta intitolata Novus Avianus utilizzata nelle scuole di grammatica e nella figura di Alberto di S. Martino autore di un manuale di ars dictandi sulla retorica con particolare riferimento all’elaborazione epistolare. Grammatica e retorica insieme alla dialettica andavano a comporre il Trivio che insieme al Quadrivio ( aritmetica, astronomia e musica) costituivano la base della formazione scolastica medioevale. Le arti liberali, contrapposte a quelle meccaniche, richiedevano attività intellettuali ed applicazione di mente e spirito. Furono studiate e classificate già nella cultura alessandrina ma nel medioevo resistettero alle censure ecclesiastiche come parti del sapere della ragione applicata alla fede diventando una tra le tematiche più raffigurate nelle arti pittoriche. Il Borgo San Lazzaro intende rappresentare le Arti Liberali e le Scienze Sacre con ispirazione all’opera di Andrea Bonaiuti del Cappellone degli Spagnoli con le 7 arti Liberali raffigurate con le loro allegorie ed i pianeti protettori e le 7 scienze sacre (la Legge Civile, La Legge Canonica, la Filosofia, La Sacra Scrittura, La Teologia, la Contemplazione e la Predicazione). Apre il corteo un omaggio all’opera ispiratrice e San Tommaso d’Aquino accompagnato da due frati a simbolo del ruolo dell’ordine negli studi e nella loro amministrazione.

 

2015: Rex enim est iustum: allegoria e insegnamento della società e della guerra alle corti medievali attraverso il gioco degli scacchi, contenuti nel De Ludo Scachorum di Fra Jacopo da Cessole.

 

Le prime fonti europee riguardanti il gioco degli scacchi risalgono agli inizi dell’XI sec. Negli anni successivi il gioco si diffuse straordinariamente fra i ceti più elevati, tanto che la destrezza in questo gioco era una delle probitas (virtù) che distinguevano il vero cavaliere. L'opera più importante sul Gioco medioevale per eccellenza fu il trattato del frate domenicano Jacopo da Cessole, piccolo paese vicino ad Asti. La sua opera fu scritta tra il 1295 e il 1300 ed è nota come “Liber de moribus hominum et officiis nobilium super ludo scachorum”; il manuale di scacchi e l’opera storica sull’antico gioco più diffusa nel mondo medioevale venne quindi scritta da un astigiano. In esso gli scacchi sono usati come fonte di ammaestramenti morali. Iacopo da Cessole si serve della scacchiera insieme città, regno e, quindi, mondo intero, per allestire una rappresentazione allegorica della società medievale. Nel secondo e terzo trattato dell’opera trovano posto i pezzi nobili (il giusto Re, la casta Regina, gli alfieri o i vescovi saggi, i cavalieri fedeli e i vicari del Re solidi come rocchi), e le simbologie dei pezzi popolari. Il Liber ha un carattere morale, arricchito da ricordi di vita vissuta 
ed esempi pratici ricavati dal suo peregrinare come predicatore; diversi i personaggi astigiani citati, come un certo Oberto d’Asti, mercante e cambiavalute, che si dice appartenesse alla famiglia dei De Gutueriis, i Guttuari; oppure quando nei suoi racconti afferma che Porteris, fratello del re dei Longobardi Edigoberto, nel fuggire dal suo nemico Grimoaldo «capitò ad Asti». L’abbondanza di codici ancora conservati testimonia l’interesse che il Liber di fra Jacopo suscitò nelle corti italiane del tardo Medio Evo; del testo esistono circa 250 copie manoscritte redatte nel XIV, XV e XVI secolo. Imitando la guerra, gli scacchi ricordano a tutti che il Re (capo dell’esercito) è indispensabile per la sopravvivenza. Caduto il Re, il gioco (e quindi la vita) termina, qualunque sia la situazione degli altri pezzi. In una corte trecentesca gli scacchi erano, inoltre, uno dei rari momenti “consentiti” che potevano riunire damigelle e cavalieri in una partita amichevole. E proprio da una miniatura che raffigura un tenero momento ludico tra dame e cavalieri prende spunto il corteo del Borgo San Lazzaro, che affianca alla rappresentazione da tableau vivant di un momento di gioco una sezione del corteo raffigurante allegorie e simboli delle varie figure che compongono la scacchiera.

2016: La Festa Titolare di San Lazzaro dei lebbrosi ad Asti nel Medioevo.

Dopo la prima crociata in Terrasanta ogni città si dotò di un'area esterna alle mura in cui ospitare coloro che erano colpiti dal "morbo di Lazzaro", costruendo i primi centri di isolamento, che in seguito presero il nome di lazzaretti. In altri casi, però, i malati erano ospitati nell'atrio (nartece) di chiese che venivano dedicate a San Lazzaro “dei lebbrosi”. Questi edifici spesso erano fondazioni comunali, opere pubbliche mirate a evitare un possibile contagio all’interno delle mura della città; talvolta invece erano istituite e rette dall’Ordine di San Lazzaro di Gerusalemme. Per i malati di lebbra, poter pregare in chiesa era importantissimo, poiché erano emarginati dalla civiltà e la Chiesa li considerava peccatori, marchiati nel fisico da Dio stesso. A qualunque rango sociale appartenessero, dovevano lasciare le famiglie e trasferirsi all’interno dei lazzaretti. Le mogli erano considerate vedove ancora prima che la malattia le privasse effettivamente del marito.

Anche Asti ebbe il suo lazzaretto nella chiesa di San Lazzaro "sive hospitale", menzionata per la prima volta nel testamento con cui Guglielmo di Piazzo del 1206 le destinava una somma di denaro come espiazione forse per l'anima di un parente morto di lebbra La zona dove sorgeva la chiesa di S. Lazzaro, tra il Rio di Valmanera e il torrente Versa, ancora oggi porta il nome di Borgo San Lazzaro. La devozione al Santo era particolarmente celebrata il venerdì prima della V di quaresima, data sancita dagli Statuti della Città di Asti del 1377 La solennità era accompagnata da riti devozionali per ricordare tutti gli infermi, estendendo la protezione del santo non solo ai malati di lebbra. Ed è proprio la Festa devozionale di San Lazzaro a essere rievocata: in quell’occasione si offrivano fiori e infiorate all’immagine del Santo, si invocava Lazzaro con ceri benedetti e preziosi oggetti religiosi, gli si rivolgevano a lui richieste di salvezza o di sollievo definitivo dalla sofferenza.

2017: I rimedi della pediatria medievale nel trattato di Gordonius dedicato alla cura dei piccoli.

Il tardo medioevo vide in tutta Europa il proliferare di pubblicazioni che riguardano le malattie dell’infanzia. Uno tra i più rari, misteriosi e citati trattati fu il Tratado de los ninos che fu scritto da Bernard de Gordon verosimilmente agli inizi del XIV secolo. L’autore, il cui nome fu latinizzato in Gordonius, fu uno dei fondatori dell’Università di Montpellier, e le sue opere sono giunte a noi grazie al recupero della seicentesca traduzione spagnola.

Il Bonino, autore della Biografia medica Piemontese, indica Asti come probabile città natale del celebre studioso, autore del trattato che riporta i rimedi utilizzati in età medievale per le malattie dell’infanzia, fornendo inoltre curiosi consigli che sono all'origine della storia della puericultura.

Il pane rammollito nel latte o in acqua e vino era indicato per lo svezzamento del bambino, mentre una bevanda di latte di donna che allatta una femmina con aggiunta di olio rosato e farina di papavero bianco era la panacea per i disturbi del sonno. Olio di camomilla, mirra, anice e cumino cotti erano i componenti di un distillato per il male all’orecchio mentre per la congiuntivite venivano usati impacchi con infuso di camomilla e anice.

Per alleviare il dolore da dentizione era utile applicare sulle labbra del piccolo, servendosi di una piuma, un balsamo di liquirizia oppure sulle gengive olio di violetta con cera e menta piperita.

Una ricetta consigliata univa almastica gommoresina, caglio di capretto, mirtilli, melagrana, allume di rocca, mandorle e miele per il mal di gola. Altri medicamenti, invece, utilizzavano chiodi di garofano per il singhiozzo e curcuma per il mal di pancia. Queste sostanze ed altre utilizzate per curare  la febbre come aglio, zucchero, canfora, aceto, aloe e orzo erano vendute nelle botteghe e nei mercati astigiani nel Medioevo, come risulta dagli elenchi riportati negli Statuta Revarum Civitatis Ast.

Il Borgo San Lazzaro propone nel suo corteo i momenti di raccolta delle erbe e dei fiori, di preparazione dei medicamenti e di commercio dei preziosi materiali seguiti da quadri viventi raffiguranti la cura dei piccoli. In chiusura dame e damigelle portano in trionfo le materie prime. Proprio questi prodotti, dai più semplici e comuni ai più rari e preziosi, abilmente preparati dagli speziali e dalle mani delle donne, hanno rappresentato le cure per i principali malanni dei bambini in Asti medievale.

2018: IL PIU’ UMILE TRA I SANTI TRIONFA, LA VITTORIA DELLA VITA SULLA MORTE PER FESTEGGIARE IL PALIO 2017 VINTO GRAZIE ALLA TEMPERANZA! A TEMP E LEU!

La devozione a San Lazzaro dei Lebbrosi era particolarmente sentita già dal medioevo nella ricorrenza del venerdì prima della V di quaresima, data sancita dagli Statuti della Città di Asti del 1377 e rinnovata ogni anno con il giuramento del Podestà secondo l’antica formula di rito del 1221 in cui era obbligo per Causidici e Notai astenersi dal lavoro e osservarne la festività. La Festa di San Lazzaro era un momento per ricordare tutti gli infermi e per ringraziare delle guarigioni. Una vera e propria festa della Vittoria della Vita sulla Morte, della Salute sulla Malattia. 

Proprio il tema della Vittoria della Vita con la parata delle Virtù propiziatrici e la riconoscenza al Santo viene raffigurata nel corteo della Vittoria del Borgo san Lazzaro che porta in trionfo il Palio del 2017. 

Sul trionfale carro domina la figura allegorica della Vittoria della Vita, una figura femminile con richiami alla Vergine Maria, simbolo di fertilità e prosperità ed attorniata da chi nel 2017 ha reso possibile la Vittoria del più umile tra i Santi al Palio della nostra città.

Precedono il carro le figure allegoriche delle Virtù propiziatrici della Vittoria ispirate nella iconografia dell’oggettistica alle figure di alcune delle virtù cardinali e civili di ”Allegoria ed effetti del Buono e Cattivo Governo” del Lorenzetti, il famoso ciclo di affreschi trecenteschi senese.

Il personaggio armato della Fortezza  apre il corteo come guida salda e decisa determinante nelle vicissitudini della Vita seguita dalla bendata Fortuna, dalla Concordia con la pialla per appianare le divergenze, dalla Prudenza con uno specchio per ben interpretare il passato, leggere bene il presente e prevedere il futuro e dall’incoronata Giustizia con la sua spada.

Precede il carro la Temperanza, la Virtù cardinale di buona e sapiente amministrazione del Tempo, a richiamo del motto del Borgo A TEMP E LEU che celebra le doti di paziente e laborioso opportunismo di quello che oggi è il Borgo più vittorioso dei 21 partecipanti al Palio di Asti.

Seguono il carro i borghigiani devoti del Santo degli Infermi che ringraziano per la Vita, per la Salute e per la Vittoria il loro Santo protettore festeggiando il Palio 2017.

2019: ANGELI E COLOMBE MESSAGGERI DI DIO NELLA STORIA DI CONVERSIONE E MARTIRIO DI SAN SECONDO D’ASTI E NELLE RAPPRESENTAZIONI MEDIOEVALI

“Raccontano gli atti che una colomba si posò sul capo a Secondo e che nel passare i 2 fiumi Tanaro e Bormida Secondo udì la voce d’un angelo che gli facea coraggio a credere in Cristo”.

Nell’anniversario del Martirio del Santo il Borgo San Lazzaro rievoca nel suo corteo storico la simbologia della conversione di San Secondo (soldato romano e quindi pagano) al Cristianesimo.

Angeli e colombe come segno di Annunciazione del messaggio divino sono presenti in numerosissime opere del medioevo astigiano. Pensiamo all’”Angelo annunciante” del 1320 nella casa parrocchiale di Calliano, agli affreschi dell’”Annunciazione” e della “Madonna con il Bambino” del Maestro di Viatosto o alle opere in Cattedrale del 400 dell’ “Angelo annunciante” e della “Vergine Annunciata” dello stesso autore.

Nell’arte trecentesca e quattrocentesca San Secondo è sempre rappresentato come un giovane Santo ispirato ai modelli cortesi lombardi con la Citta di Asti in una mano ed una spada nell’altra come nell’opera del Maestro della Madonna di San Secondo presente in Collegiata. Così è rappresentato, ad esempio, nel capitello in terracotta che originariamente sosteneva la pala con l’Incoronazione della Vergine nella chiesa parrocchiale di Viatosto insieme appunto agli angeli ed alla colomba con San Francesco. 

Nella cultura cristiana e nel testo biblico la colomba, simbolo di purezza di spirito è con l’Angelo il solo Messaggero di Dio. La colomba è spesso rappresentata come messaggera di pace e speranza con il ramo d’ulivo. Dolcezza, fedeltà e innocenza sono dunque le Virtù di questo messaggero divino che arriva addirittura a simboleggiare lo stesso Spirito Santo proprio durante le rappresentazioni della conversione come appunto nella leggenda del Santo Martire Secondo.

Nel corteo rappresentato si distinguono due figure principali: quella di San Secondo e quella di una dama con un abito che riproduce fedelmente il bozzetto più celebre dello stilista medioevale per eccellenza: il Pisanello. L’abito nella parte posteriore e nella coda presenta ali minuziosamente create su modello di quelle proprio di una colomba e sta a rappresentare la Conversione.

Bianche figure di angeli e dame con raffigurazioni sacre e oggetti religiosi seguono la mistica figura mentre il Santo viene simbolicamente scortato dalle figure allegoriche di Tanaro e Bormida in memoria del luogo della conversione e dai nobili astesi che ne hanno così a lungo perpetrato venerazione e fede.

2020: PALIO NON DISPUTATO

2021: PALIO NON DISPUTATO

2022: La grandezza di Asti e la sua potente bellezza nelle cronache del più antico narratore del nostro Palio

“Belle e splendide erano le loro mogli, di bisso i loro vestiti e le loro teste coperte di preziosissimi gioielli”.

Guglielmo Ventura, descrive così l’eleganza femminile della famiglia Guttuari, legando lo stile di vita cortese - cavalleresco all’opulente ricchezza di una delle famiglie più potenti della città di Asti proprietaria di torri, armi e castelli. La grandezza di Asti e dei suoi potenti rappresentanti viene mostrata nel corteo del Borgo San Lazzaro omaggiando così il primo narratore del nostro Palio antico ed auspicando un ritorno ai fasti del passato.

2023: Il triumphus, allegoria della vittoria

La celebrazione della vittoria ha origini arcaiche. La leggenda narra che Romolo al termine della sfida contro Acrone tagliò un ramo di quercia formandone un trofeo. Quindi, incoronatosi il capo di alloro e tenendo alto il ramo, mosse verso Roma. Probabilmente fu questa improvvisata cerimonia a dare inizio alla consuetudine di celebrare l’impresa, a cui venne dato il nome di triumphus. Nella millenaria storia di Asti numerosi sono gli esempi di ingressi trionfali dopo una battaglia vinta: possiamo ricordare l’ingresso in Asti di Giovanni II Paleologo del 1345 e quello del Duca Carlo d'Orleans del 1447. Il Borgo San Lazzaro celebra la vittoria portando in corteo il proprio triumphus: aprono i rappresentanti del comune medievale, come eco dell’antico Senato romano. Quindi gli spolia opima, i premi vinti sulla terra di Piazza Alfieri e l’allegoria del Borgo San Lazzaro, con il Palio 2022, personificazione dell’universiats populi gialloverde. Chiude il corteo un omaggio ai vinti confratelli che hanno saputo essere piu' forti dei tre anni di pandemia in cui non si corse il Palio.

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